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Il primo metrò d’Italia

Fu il primo metrò d’Italia. Il secondo del mondo, dopo quello di Londra.

Napoli era riuscita ad anticipare tutti, a battere Roma, Milano, Torino, e a conquistare la sua ferrovia metropolitana prima di tante città industriali e capitali.

Il 1 luglio del 1889, così scrivevano i giornali locali: Alle 6 del pomeriggio, il fischio della vaporiera echeggiò sotto la collina di Sant’Elmo e di Posillipo, con l’apertura del primo tratto della nuova ferrovia Napoli-Pozzuoli-Cuma. L’apertura di questa linea convertirà Pozzuoli e le isole di Ischia e Procida in altrettanti rioni di Napoli. il commercio e le industrie se ne avvantaggeranno oltre ogni credere. Il punto di partenza di questa ferrovia è nel cuore di Napoli, al largo Montesanto. Ivi sorge uno svelto ed elegante fabbricato ad uso di stazione, opera dell’ing. Antonio Liotta. La ristrettezza dello spazio ha obbligato a costruire parte dei binari, necessari al servizio di una stazione, in galleria. Oltrepassata la collina di S. Elmo, si esce sul Corso Vittorio Emanuele in prossimità delle Quattro Stagioni. Ivi è la prima fermata, con un percorso all’aperto di circa trecento metri, indi si ritorna in galleria, per attraversare la collina di Posillipo con un traforo di 1.050 metri in tufo. Usciti dalla galleria di Posillipo, a Fuorigrotta è la seconda fermata. La linea di seguito, fino alle Regie Cave di Scogli a Pozzuoli, non presenta particolarità alcuna in quanto a costruzione. Fra pochi mesi si pera di completare la linea fino a Torregaveta, attraversando pure il traforo della Real Cava di Scogli di Pozzuoli, costeggiando quindi il lago Lucrino ed il lago Fusaro. A Torregaveta si costruirà un porticino dove potranno approdare i vaporetti di Procida e di Ischia, così il percorso da Montesanto a Ischia potrà effettuarsi in meno di un’ora.

Infine la scheda tecnica dell’impresa: “La lunghezza totale della linea sarà di circa venti chilometri; il tratto che ieri s’inaugurò è di soli nove chilometri. La pendenza massima è del 15 per mille, il raggio minimo delle curve è di 250 metri.

Il 15 dicembre del 1889, i binari della Cumana giunsero a Pozzuoli, il 15 febbraio del 1890 al Fusaro, il 12 luglio al terminale di Torregaveta: l’intero progetto poteva dirsi realizzato. Si trattava di una strada ferrata lunga complessivamente 19,785 chilometri, dei quali 5,897 in sotterranea.

Per i Campi Flegrei, dunque, si apriva un nuovo capitolo: quest’area, splendida per vocazione ambientale e richiamo artistico-culturale, era rimasta abbandonata dopo il declino dei Romani, che ne avevano scelto gli angoli più suggestivi ed ameni, sul mare di Pozzuoli, Baia, Miseno, per riposarsi nei mesi estivi e divertirsi nei lunghi periodi di ozio.

La barriera naturale costituita dalle colline di S. Elmo e di Posillipo, infatti, era stata, fino a quel momento, attraversata esclusivamente da due antiche, anguste grotte, scavate nel tufo dagli ingegneri degli stessi Romani. Ma ora, con il varo della nuova ferrovia, ci si poteva lasciare alle spalle i disagi dei lunghi, tortuosi viaggi con funicolari e tram a vapore: in soli 5 minuti, con una spesa di soli 20 centesimi (irrisoria anche a quel tempo), era finalmente possibile spostarsi dal cuore del centro storico di Napoli al Corso Vittorio Emanuele. E quindi raggiungere la vasta zona occidentale, sino a via Tasso, Piedigrotta, Mergellina e Posillipo, per non parlare ancora della possibilità di raggiungere le spiagge frequentatissime di Bagnoli e Coroglio: 7 chilometri, in 10 minuti direttissima Montesanto-Bagnoli, andata e ritorno in seconda classe per una spesa complessiva di 60 centesimi, bagno in mare e spiaggia compresi.

Supportata da un consistente e qualificato servizio alberghiero, l’attività termale puntualmente faceva registrare l’esaltante “tutto esaurito” nel periodo compreso fra aprile e ottobre: stabilimenti termali per tutti i gusti (se ne contavano 19 nella sola Pozzuoli), colline verdi, mare azzurro e limpidissimo, parchi archeologici famosi in tutto il mondo e cinque laghi ricchi di pesce, ostriche e cozze, oltre naturalmente a spiagge rinomate, rendevano la zona flegrea una delle più ambite per il turismo balneare.

Ecco cosa raccontavano al riguardo le cronache dell’epoca: “Dopo aver attraversato in galleria la punta dell’Epitaffio, ove sono le stufe di Nerone, segue la fermata di Baia, proprio in quella conca incantata ove sono le ruine del tempio di Diana. La linea messasi di nuovo in galleria, sbuca nella conca del Fusaro, dove fa una fermata e poi, proseguendo per altri tre chilometri, giunge alla baja di Torregaveta, a ponente del Capo Miseno, ossia sopra corrente al canale di Procida e quindi in condizioni di fare, quale che sia il tempo di mare, sempre il tragitto Torregaveta-Procida, Torregaveta-Ischia”.

 

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